Ex Convento e Carcere di San Vito

Un tempo luogo di fede, poi carcere fino al 1996, l’ex Convento di San Vito ad Agrigento racconta secoli di trasformazioni. Nato nel 1432 per volontà del Beato Matteo Cimarra, venne convertito in penitenziario nel XIX secolo dopo la soppressione degli ordini religiosi. Oggi, grazie a un progetto di recupero promosso da Farm Cultural Park e Politecnico di Milano, questo spazio dimenticato torna al centro della vita culturale cittadina come simbolo di memoria, identità e rinascita collettiva.
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Dalla fede al carcere: un luogo di trasformazioni

Il complesso del Convento di San Vito, edificato nel 1432 per volontà del Beato Matteo Cimarra e finanziato dal Senato agrigentino, rappresenta uno dei nuclei originari della struttura dell’ex carcere. Originariamente situato nella boscosa Rupe Atenea, a pochi passi dalle mura medievali di Girgenti, il convento fu pensato come un luogo di devozione e accoglienza spirituale. Nel 1863, con la soppressione degli ordini religiosi e il passaggio dei loro beni allo Stato, i frati furono costretti a cedere il convento che venne trasformato in carcere, e tale rimase fino al 1996 quando i detenuti furono trasferiti nella moderna casa circondariale Di Lorenzo

Abbandono e rinascita

Chiuso nel 1996, l’ex carcere di San Vito è diventato un luogo spesso inaccessibile, le cui funzioni storiche e spirituali sono cadute nell’oblio. Negli anni successivi, sono state avviate campagne di sensibilizzazione e studi preliminari – come quelli promossi dall’Università di Palermo – per ipotizzare un restauro compatibile in grado di restituire alla comunità questo luogo pieno di storia.Oggi il sito emerge come un monumento silenzioso ma carico di significato, simbolo delle stratificazioni architettoniche, sociali e culturali di Agrigento. Il progetto di recupero che la Farm - a cui il Demanio ha affidato il carcere per tre anni - porta avanti con il supporto del Politecnico di Milano, sarà l'opportunità di dare nuova vita a un patrimonio della collettività, dove si leggono tracce tangibili di memoria urbana e identitaria.

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